Il francescanesimo di Papa Francesco

La parte finale di un intervento del card. Bergoglio del 2011, una traduzione in italiano della registrazione in spagnolo presente nel sito http://www.youtube.com/watch?v=W16uhQaR0iQ .Un testo fino ad ora non apparso in lingua italiana, ma di grande importanza per comprendere cosa rappresenti per il Papa San Francesco e il francescanesimo.

Nella conferenza stampa durante il volo di ritorno dal viaggio a Rio de Janeiro, domenica 28 luglio 2013, alla domanda se da quando è papa si sente ancora gesuita, papa Francesco ha affermato:

«Mi sento gesuita nella mia spiritualità; nella spiritualità degli Esercizi, quella che ho nel cuore.

Ma tanto mi sento così che fra tre giorni andrò a festeggiare con i gesuiti la festa di Sant’Ignazio: dirò la Messa al mattino. Non ho cambiato di spiritualità, no. Francesco, francescano: no. Mi sento gesuita e la penso come gesuita. Non ipocritamente, ma la penso come gesuita».

Ma allora perché ha scelto come nome pontificio quello del Santo di Assisi? Papa Bergoglio lo ha spiegato in occasione del suo primo discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede:

«Come sapete, ci sono vari motivi per cui ho scelto il mio nome pensando a Francesco di Assisi, una personalità che è ben nota al di là dei confini dell' Italia e dell' Europa e anche tra coloro che non professano la fede cattolica.

Uno dei primi è l’amore che Francesco aveva per i poveri. Quanti poveri ci sono ancora nel mondo! E quanta sofferenza incontrano queste persone! Sull’esempio di Francesco d’Assisi, la Chiesa ha sempre cercato di avere cura, di custodire, in ogni angolo della Terra, chi soffre per l’indigenza e penso che in molti dei vostri Paesi possiate constatare la generosa opera di quei cristiani che si adoperano per aiutare i malati, gli orfani, i senzatetto e tutti coloro che sono emarginati, e che così lavorano per edificare società più umane e più giuste. Ma c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini. E così giungo ad una seconda ragione del mio nome. Francesco d’Assisi ci dice: lavorate per edificare la pace! Ma non vi è vera pace senza verità! Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra».Anche se in parte trova risposta nel suddetto intervento, uno dei primi del suo pontificato, sorge la domanda su quale sia l' immagine che il Papa ha del Santo di Assisi: infatti si sa che dell’Assisiate vengono proposte molteplici letture, se non proprio contrastanti tra loro, certamente a volte divergenti.

A questo riguardo vi è un intervento del 29 giugno 2011 in cui l’allora cardinal Jorge Bergoglio, in quanto arcivescovo di Buenos Aires, illustrando la figura di san Bonaventura presenta una vera e propria sintesi della sua concezione del francescanesimo:

«È curioso che san Bonaventura venga messo in relazione con l’umiltà. La parola umiltà significa modestia, sottomissione e deriva dal latino: humilitas-humus-terra e significa abbassarsi. San Paolo descrive la vocazione di Gesù nell’abbassarsi: si è abbassato, si annullò, si è fatto servo pur essendo Signore. L’umiltà consiste in questo abbassarsi. E nel sud della provincia di Corrientes usiamo normalmente quest’aggettivo per descrivere qualcosa che ha poco valore, come per esempio “questo è un libro umile” come se non valesse nulla, invece l’umiltà è l’atteggiamento più grande di Dio che si abbassa, ci si avvicina, si fa prossimo.

San Bonaventura fu uno di quei grandi santi della spiritualità cristiana che ha attinto dal carisma di Francesco l’umiltà. La carità e l’amore camminavano insieme con quell’umiltà. Si mostrava così com’era. Lui vide nella vita di san Francesco l’esperienza di un cammino molto umile e molto realista:

giorno dopo giorno camminando con Cristo, accettando la propria croce. In questa povertà e in questa grande umiltà Bonaventura trovò lo strumento per interpretare l’eredità essenziale e profonda di Francesco. Bonaventura è stato chi organizzò l’ordine francescano, ma attraverso quest’umiltà legata a Francesco. Per diciassette anni è stato superiore generale dei francescani, dopo, quando il Papa gli ha concesso il titolo di cardinale, continuava lo stesso ad andare in cucina a lavare i piatti. Non se la tirava, non è diventato vanitoso, è stato se stesso sempre, lo stesso frate umile di sempre: infatti l’umile non guarda quanti doni ha, ma comincia a dire “Signore sono quello che sono” mette i talenti al servizio di Dio.

Un’anima umile attira, invece un’anima superba allontana, respinge. Gesù attirava perché era Dio umile, san Bonaventura attira perché era umile. La virtù che Bonaventura preferiva era l’umiltà e la pazienza. L’umiltà va con la pazienza e umiltà e pazienza camminano insieme. Un’anima umile tutto soffre, tutto sopporta, tutto spera, tutto perdona; è paziente come Gesù, pensiamo alla pazienza di Gesù, ricordiamolo in quella notte tra il giovedì santo e il venerdì quando gli hanno fatto di tutto è stato burlato, gli hanno sputato, schiaffeggiato, beffeggiato, picchiato e lui è restato in silenzio. Questo Gesù inchiodato nel legno e paziente ha insegnato a Bonaventura l’umiltà e il dispregio delle dignità. Lui ha compreso la Parola del Vangelo “chi si umilia sarà innalzato”.Dalla virtù dell’umiltà dipendono tutte le altre, è come la custode e la cocchiera di tutte le altre virtù e mentre ci rende pazienti ci rende anche magnanimi. L’uomo umile sa perdonare, è comprensivo, e san Bonaventura attraverso il carisma di Francesco proprio perché era umile, era paziente e magnanime».

Prof. Pietro Messa, ofm

Pontificia Università Antonianum

Roma